La pandemia di coronavirus ha creato e continua a creare disagi in tutti gli ambiti della società e sotto diversi punti di vista. Eppure, è forse possibile sfruttare questo lockdown che ci è stato imposto per riflettere su noi stessi e su quello che ci circonda, cogliendo l’occasione per capire cosa si può migliorare nei meccanismi che dominano la nostra vita e le nostre attività quotidiane.
Eleonora Ferrari, giovane futura designer di moda che frequenta il corso di Fashion Design presso la MKS Milano Fashion School, ha raccontato la sua opinione riguardo alla situazione attuale della moda e di quello che potrebbe cambiare alla fine di questa crisi.
«Situazioni come quella che stiamo vivendo arrivano ciclicamente per cambiare qualcosa, sono indice che lo stile di vita dell’uomo esagera e sovrasta gli equilibri del mondo.
Noi non abbiamo mai vissuto niente del genere e oggi tutto questo ci sembra nuovo, ma è uno dei tanti stop and reset che ci dicono datevi una regolata, così non va.
La vita oggi è troppo frenetica, bisogna fare, guadagnare, rincorrere che cosa poi? Qualcosa che ci allontana da genuinità e identità.
La moda è stata spremuta in questi anni, obbligata a seguire ritmi allucinanti che l’hanno snaturata, travolta dal fast fashion.
La moda è arte ed espressione di sé. Oggi è desiderabilità sociale e trends. È sovrapproduzione, inquinamento, spreco. Non conosce innovazione, qualità, sincerità. Non può continuare così, perde di valore e di significato.
Questo stop forzato è l’occasione perfetta per rallentare e ritornare all’essenziale.
In questo momento di crisi tutta la macchina si è inceppata, i consumatori non acquistano o sono più cauti. Sfruttano le piattaforme online, così come fanno i brands nella comunicazione: queste saranno ancora più importanti dopo, perché ora sono diventate essenziali nelle nostre vite. Sarà più difficile accedere liberamente ai negozi, provare e comprare senza vincoli, quindi forse si preferirà acquistare online. Ma ci saranno meno soldi a disposizione, quindi meno domanda? Inoltre, i consumatori hanno riscoperto un lifestyle più lento, rilassato, umano. Vero. Lo continueranno dopo o cadranno nuovamente nel vortice del consumismo? Questo sarà determinante per capire il futuro della moda.
Per molti (e per me) è meglio tornare ad una minore offerta, le classiche due collezioni stagionali, che non rincorrono trends ripetitivi buttati fuori per un’illusoria innovazione, ma che offrono prodotti duraturi, funzionali e versatili. Rallentare. È necessario anche per fare respirare l’ambiente; continuare uno sfruttamento malsano e incontrollato di un sistema chiuso, quale è la Terra, prima o poi porta ad una catastrofe. Ignorare questo problema e rimandarlo a un futuro ipotetico non serve, tanto vale affrontarlo subito.
Grandi nomi come Armani invocano il ritorno ad una moda più lenta e di qualità: capi dalla foggia e dallo stile duraturi, non dichiarati fuori moda da tendenze fantocce, ma dignitosi e significativi, che restano.
Il problema è che le masse ovviamente acquistano il fast fashion, che per sua natura va contro i ritmi lenti. Cosa succederà? Torneremo ad abituarci (o saremo costretti a causa della recessione economica) ad avere tanto, tutto e subito e quindi addio recupero della dimensione umana o riusciremo a restare ancorati a una moda circolare, vera e buona? Nel secondo caso vincerebbe la ricerca della personalizzazione, l’identità, il vintage, il refashion. Il fast fashion potrebbe cercare di evolversi per adattarsi a questa nuova produzione responsabile o potrebbe non riuscire a conciliarla con il suo modus operandi; e allora andrà in crisi? Ipotizzo uno scenario in cui si creerà un divario tra una moda più concettuale e una fast che rimane vuota, impersonale e consumistica. Una delle due versioni avrà successo a discapito dell’altra.
I grandi marchi possono uscirne senza troppi problemi; perdite certo, ma hanno i mezzi per ammortizzarle e una macchina potente per ripartire. Le piccole aziende fanno fatica nell’immediato, alcune senza un guadagno continuo falliscono. Quelle che sopravvivono potrebbero sfruttare questo ritorno all’artigianalità e alla qualità per diventare il punto di partenza per la rinascita dell’intero fashion system.»